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Gli alambicchi della grappa

All’inizio era sempre lo stesso per tutte le acqueviti, poi è cambiato: evolvendosi con l’acquavite stessa che richiedeva per ogni tipo un alambicco unico

All’inizio tutte le acqueviti avevano pressoché lo stesso alambicco: era un apparecchio semplice a fuoco diretto, che un solo uomo poteva manovrare. Poi, a seconda della materia prima, delle condizioni sociopolitiche e climatiche della regione, dei gusti e di altre cose ancora, ogni acquavite impose all’alambicco una particolare evoluzione.
Nel mondo della grappa la prima grande innovazione fu l’adozione del bagnomaria modificato in cui, da un’intercapedine colma d’acqua posta a camicia intorno alle vinacce, si prelevava vapore e lo si immetteva sul fondo della cucurbita. Distillazione onerosa ma dolcissima. Quasi parallelamente avveniva la costruzione dell’alambicco a vinacce emerse in cui il fuoco faceva evaporare l’acqua disposta nella parte inferiore alla cucurbita.
Il vapore attraversava le vinacce poste nella parte superiore esaurendole della loro frazione alcolica e aromatica. Quest’alambicco – per il quale molto dobbiamo al ricercatore Emilio Comboni – aprì la strada alla distillazione a vapore con caldaine alimentate da una centrale indipendente. Sempre Comboni (siamo verso la fine del secolo scorso) studiò l’applicazione del vuoto all’apparecchio: una tecnica che, a oltre un secolo di distanza, stiamo riscoprendo e apprezzando per la finezza e la fragranza delle grappe che consente di produrre. Dopo la Seconda guerra mondiale anche la grappa comincia a industrializzarsi e, per una parte considerevole di essa, vi fu la frattura tra produzione e imbottigliamento. Dall’America arrivarono i grandi disalcolatori continui; le distillerie, non più limitate dagli onerosi impianti discontinui, si ingigantirono e si arrivò a opifici che superano il mezzo milione di quintali di vinaccia distillata all’anno.
L’alambicco, pur taciuto e poco enfatizzato sul piano commerciale, è un elemento primario nel determinare la qualità della grappa. Se vogliamo paragonarlo al vitigno, fattore di cui si fa gran parlare, possiamo conferirgli un rapporto medio di grandezza di cento volte. La creatività, tipica e non poco applaudita del nostro popolo, ha poi giocato un ruolo essenziale sulla diversificazione: gli alambicchi da grappa si possono infatti classificare per tipologia, ma non se ne riusciranno mai a trovare due uguali.
Ogni apparecchio è stato personalizzato dal distillatore che l’ha adeguato alla sua filosofia, al suo gusto per la grappa, alla materia prima che riceve: in poche parole ogni alambicco sforna una grappa diversa di cui si può considerare un genitore. L’altro è sicuramente la vinaccia: tutto ciò che ci sta intorno influirà sulla personalità dell’acquavite senza più riuscire a modificarne il patrimonio genetico. Per questa nostra enorme considerazione dell’alambicco come elemento di qualità abbiamo rinunciato alla classificazione classica nella sistematica della descrizione, preferendone una più recente (Odello, 1989) che li avvicini di più ai valori oggi ricercati in un bicchierino d’acquavite.

Gli antenati

Sono gli alambicchi che con ogni probabilità non hanno mai distillato vinaccia o, se l’hanno fatto, la cosa non ha avuto rilievo scientifico o sociale e, pertanto, non è stata registrata dalla storia. Sono però importanti perché dalla loro evoluzione sono nati apparecchi in grado di produrre acquavite regalando all’uomo uno dei generi di conforto più ambiti.

Gli storici

Sono gli alambicchi ormai abbandonati o quasi, almeno nella loro forma e dimensione originaria, ma hanno sicuramente distillato vinacce e quindi prodotto grappa.
La loro scomparsa dal mondo dell’acquavite di vinaccia fu solo in parte determinata dall’innovazione tecnologica. Essi ebbero almeno due irriducibili nemici: lo stato con la sua normativa fiscale sugli alcolici e l’esigenza economica di ridurre sempre e comunque i costi di produzione. Se il futuro, com’è prevedibile, cambierà ancora in un certo senso i parametri di qualità e quindi di remunerazione della grappa, non è esclusa una loro ricomparsa in scena.

I classici

Riuniamo in questa categoria gli alambicchi aderenti alla tradizione grappistica dell’Ottocento e ancora oggi utilizzati. Pur innovati nei materiali costruttivi (a volte l’acciaio inox ha sostituito il rame) e resi conformi alle moderne conoscenze tecnologiche, questi alambicchi sono sostanzialmente come quelli dei nostri nonni. Nel panorama produttivo sono ancora molto diffusi e, nonostante siano tutti discontinui e quindi tutti – chi più, chi meno, naturalmente – di funzionamento oneroso, anche grandi aziende non hanno voluto sostituirli con altri più moderni ritenendo abbiano una grande parte di merito nel caratterizzare organoletticamente la grappa.

I moderni

Sono gli apparecchi continui: rapidi, necessitano di poca manodopera per la conduzione, ingoiano anche mille quintali di vinaccia al giorno senza soluzione di continuità trasformandola in pochi minuti in una massa priva d’ogni umore alcolico e aromatico. Sono arrivati dall’America nel dopoguerra come risposta alla necessità della grande concentrazione industriale che si stava profilando nel settore della distillazione delle vinacce. Verso i primi installatori di simili diavolerie – colpevoli di corrompere una tradizione consolidata come quella grappistica – vi fu un’alzata di scudi: si gridò allo scandalo, alla rovina del gusto della grappa, alla morte di una tradizione. C’era del vero: il gusto della grappa prodotta con l’alambicco continuo è diverso. Ma non necessariamente peggiore. E poi la grande corruzione c’era già stata molti anni prima, larvata e silenziosa, aiutata dal placet dei ricercatori dei primi anni del secolo. Fu infatti allora che iniziò a dilagare la moda dell’insilamento delle vinacce e gli impianti arrivarono a distillare fino a fine aprile.
Oggi sappiamo che è meglio avere grappa prodotta da vinaccia fresca con un alambicco continuo piuttosto di fare acquavite con un discontinuo e vinaccia insilata. Da non dimenticare poi che in mezzo secolo gli apparecchi continui si sono perfezionati o adattati alla tecnologia della grappa colmando quel gap costituzionale che avevano all’inizio quando, traslati pari pari dalla produzione di alcol buon gusto, si comportavano con l’aroma della grappa più o meno come un pachiderma in un negozio di cristallerie. Insomma, trinciare giudizi generalizzati come al solito porta a errori: anche tra gli alambicchi continui ci sono differenze sostanziali sotto il profilo costruttivo e della conduzione.
Da non dimenticare poi di considerare attentamente che cosa viene prima di un disalcolatore continuo – cioè la qualità della vinaccia – e cosa è stato installato dopo, vale a dire quali elementi di concentrazione e di rettifica.
Di certo gli apparecchi continui stanno tradendo il grande sogno di chi pensava che con essi si potesse fare anche grappa senza gusto svincolandosi dalla qualità della vinaccia. In questo senso sono stati leali.

Tratto da L’Assaggio 72 – Inverno 2020

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