L'opinione

La grappa nei cocktails, per avvicinarla ai giovani. Ma sarà vero?

“Ho tentato di insegnargli l’ebbrezza della velocità nella corsa a piedi facendogli provare la bicicletta, ma poi lui ha preso la moto”. Non è che tra qualche anno il mondo della grappa, che ostinatamente cerca di farla utilizzare nel bere miscelato, potrebbe trovarsi a dover parafrasare questo? Se è vero che la grappa è un’acquavite con un grande contenuto culturale che le deriva dalla tradizione e da una qualificata artigianalità mai sopita e che questo si trasferisce alle sue caratteristiche sensoriali, occorrerebbe che i giovani imparassero a conoscerla tal quale e non travestita. Occorre quindi partire da una narrazione giovane e fresca, sincera e motivante, lontana dalla gergalità da addetti ai lavori e dalla retorica, magari intrisa di gioco e di sfide per farla conoscere e apprezzare. Solo così, pura, si premiano, tra l’altro, gli sforzi fatti negli ultimi quarant’anni per elevarne la qualità.
Se poi è vero, com’è vero, che per dare forza a un cocktails si trovano molte altre fonti alcoliche che costano molto meno, qualcuno mi spiega perché i barmen dovrebbero utilizzare la grappa?
A meno che non ci sia un’altra logica: contribuire a produrre bevande da sballo perché lì l’alcol non si sente e se ne consuma molto. A questa non voglio credere, i nostri grappaioli di difetti ne hanno tanti, ma il cinismo nelle loro azioni è comparso raramente, per non dire mai.

Luigi Odello

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