Tecnologia

COME LA VINACCIA FA LA GRAPPA

Le vinacce: vergini o fermentate?

Mentre un tempo si diceva che dall’uva si ricava tanto il vino quanto la grappa conferendo a questi due grandi prodotti dell’enologia pari dignità, oggi è certo il vino il più tutelato e la tecnologia è sicuramente finalizzata a ottenerlo di elevata qualità senza curarsi se le scelte sono compatibili per la successiva produzione di una buona grappa. Oltretutto il mondo del vino e quello della grappa sono quasi sempre divisi produttivamente da una barbina regolamentazione che pone grandi problemi alla fabbricazione dell’acquavite in prossimità di una cantina. Questo ha nuociuto non poco alla qualità della grappa la cui evoluzione – condizionata tra l’altro dalla mancanza di quadri tecnici e da una minor attenzione da parte degli organismi pubblici e cooperativistici – non ha seguito quella del vino. Ora, se osserviamo la rivoluzione enologica degli ultimi quarant’anni, possiamo notare che per avvicinare le caratteristiche sensoriali del vino al gusto del consumatore, la buccia degli acini viene sempre più sovente allontanata dal succo prima che esso inizi la fermentazione, ma fortunatamente contiene un’aliquota di mosto o di vino decisamente superiore. Le vinacce derivanti dai vini bianchi sono in genere consegnate alla distilleria appena separate dal mosto e quindi completamente prive di alcol. Per questo si dicono vergini e non sono ovviamente distillabili senza preventiva fermentazione. Nella produzione di vini rosati o di rossi leggeri le vinacce sono invece chiamate semifermentate in quanto, nelle prime fasi della vinificazione, sono tenute insieme al mosto.
Nel caso di vinificazione in rosso le vinacce subiscono il processo fermentativo con il mosto e, quindi, esaurendo insieme ad esso gli zuccheri, si dicono fermentate. Così almeno era una volta perché oggi sono molto rari i casi in cui le vinacce rimangono a macerare fino al termine della fermentazione: normalmente vengono separate prima del completo esaurimento degli zuccheri e, addirittura, nuove tecnologie stanno proponendo processi di produzione di rossi e rosati senza macerazione delle bucce in fase di fermentazione.
A questo punto qualcuno si starà domandando come mai è importante se le vinacce arrivano vergini o fermentate in distilleria. È molto semplice. Nel primo caso devono essere sottoposte a rigorose pratiche per ottenere una buona fermentazione mentre nel secondo sono immediatamente disponibili per l’alambicco. Sia per motivi di struttura fisica che di composizione chimica (basti come esempio il fattore acidità che nel mosto oscilla su valori di pH – ossia di concentrazione di ioni di idrogeno – di 2,8-3,4 mentre nella vinaccia è su livelli 3,8-4,5) nelle bucce d’uva che fermentano senza trattamenti sono molto favoriti nella loro attività i batteri e i lieviti selvaggi: i maggiori nemici della qualità della grappa.
Ecco quindi l’intervento del ripristino del patrimonio acidico della vinaccia in fase di fermentazione.

Pigiatrici, torchi e presse

Anche se i piedi godono, tra le parti del corpo umano, di un’immagine piuttosto prosaica, essi costituiscono ancora il più soffice sistema di pigiatura che si conosca, il migliore per ottenere un buon vino e una vinaccia di qualità. L’uomo, nel corso dei secoli, per far defluire il succo contenuto nell’interno di un acino d’uva – unico scopo della pigiatura – ha fabbricato via via macchine sempre più efficienti e, parallelamente, sempre più violente. Una buona vinaccia la si ottiene invece quando la buccia dell’acino d’uva rimane integra, come se l’acino fosse stato schiacciato tra l’indice e il pollice di una mano.
Tra i migliori sistemi oggi utilizzati ci sono le diraspapigiatrici a rulli in cui, dopo la separazione degli acini del raspo e l’allontanamento di quest’ultimo, il chicco d’uva viene obbligato a passare tra una serie di rulli che ne lacerano la buccia e fanno defluire il succo.
All’opposto, tra le macchine più violente, sono da annoverare le pigiadiraspatrici verticali in cui l’uva è convogliata in un tamburo grigliato dove gira ad alta velocità un rotore palettato che, letteralmente, sfracella gli acini.
Ma non bisogna dimenticare chi, per seguire la via del delicato, è uso ammostare l’uva mettendola intera nelle presse. Queste macchine – che, in enologia, detengono il primato di vetustà – trovano comunque più largo impiego per l’esaurimento della vinaccia. Questa infatti, materia estremamente spugnosa, ha la pessima caratteristica di trattenere una grande quantità di liquido, di vino, per essere più precisi, se si tratta di vinificazione in rosso. Il vignaiolo – che per almeno venti secoli fu tale senza sapere che con la vinaccia si può fare la grappa – non voleva perdere un simile patrimonio e inventò la pressa o il torchio che dir si voglia. Esso, comprimendo la massa delle vinacce, provoca la separazione del vino che viene recuperato come tale. Verso i primi secoli del nostro millennio si imparò a distillare le vinacce e quindi quanto rimaneva di prezioso era successivamente, avidamente, recuperato con l’alambicco. Tutto andò bene fin quando la cupidigia dell’uomo non ebbe a disposizione, per azionare i torchi, qualcosa di più potente della forza muscolare. Da quel momento si costruirono macchine sempre più efficienti, fino a ottenere attrezzature in grado di strizzare talmente la vinaccia da renderla asciutta come segatura. All’alambicco rimaneva ben poca cosa e l’arte del distillatore era impotente, incapace di trarre grappa di qualità da una simile materia prima. I sistemi di pressatura oggi esistenti si annoverano praticamente in tre categorie, quattro se vogliamo includere i vecchi torchi verticali con gabbia in legno e vite di ferro ancora usati nelle piccole produzioni. Vi sono le presse orizzontali discontinue in cui la vinaccia viene compressa da piatti meccanici o da una membrana fatta espandere con acqua o aria sotto pressione. Sono, specialmente queste ultime, macchine molto delicate che trovano impiego soprattutto nella vinificazione in bianco dove la separazione del mosto dalla vinaccia deve essere immediata. Non di rado, in questo ambito, in esse si spreme l’uva intera e quindi le vinacce conterranno anche i raspi, elementi decisamente negativi per la fermentazione e la conservazione delle bucce degli acini d’uva.
Un’altra categoria è rappresentata dalle presse continue a nastro in cui il mosto viene fatto defluire per compressione del pigiato tra due nastri in movimento e in progressivo avvicinamento.
Anche queste sono soffici nell’azione e, come le orizzontali, vengono impiegate soprattutto nella produzione dei vini bianchi. Da entrambi i tipi si ottengono quindi quasi esclusivamente vinacce vergini. Vi sono infine le presse orizzontali a vite senza fine. Queste sfruttano l’azione di una vite di Archimede che ruota in una forata e spinge la vinaccia verso l’uscita, parzialmente ostruita, di un tunnel. Qui, pur tenendo conto dei differenti particolari costruttivi esistenti tra le diverse marche, la violenza sulla vinaccia è enorme. Non si tratta solo di pressione ma anche di attrito tra la grande superficie dell’elica che spinge avanti la vinaccia e la medesima ostacolata nell’avanzamento.
Le presse continue sono impiegate tanto per le vinacce vergini quanto per quelle fermentate: da esse non si pretende di ottenere vini o mosti di qualità eccelsa per cui il risvolto più negativo del loro impiego riguarda la decadenza della qualità della vinaccia e quindi della grappa.
La quantità di umidità residua nella vinaccia non è infatti solo importante per la resa in grappa ma, soprattutto, per la qualità della futura acquavite dipendendo da essa il volume d’aroma e la conservabilità.

Le vinacce: fresche o conservate?

Chi parte a fare grappa con vinaccia fresca ha un vantaggio notevole nell’ottenimento di un prodotto di qualità. Vero è che serie sperimentazioni hanno dimostrato che con opportune tecnologie di conservazione e di distillazione si ottengono grappe più caratterizzate, ma resta il fatto che le bucce degli acini d’uva si alterano facilmente e con una velocità impressionante: già la mezza giornata o le ventiquattr’ore di sosta nei silos delle cantine in attesa di essere trasportate in distilleria possono essere fatali. Come fatale per la bontà della vinaccia è la fermentazione a cappello emerso ossia la conduzione dell’operazione con la massa delle bucce galleggianti sul mosto e non affogate in esso. Distillare vinacce fresche significa porle in alambicco entro poche ore dalla separazione del vino senza possibilità di compromessi: ricerche e sperimentazioni di Usseglio Tomasset, Margheri e Versini hanno dimostrato che anche insilamenti (ossia conservazioni in apposite strutture dette silos) di pochi giorni sono sufficienti perché avvengano le catartiche mutazioni compositive della vinaccia con conseguente
deprezzamento qualitativo. L’unico motivo che impone l’insilamento delle vinacce fermentate è la capacità produttiva degli impianti di distillazione che, per motivi economici, sono dimensionati per lavorare anche otto mesi l’anno mentre la produzione della vinaccia è concentrata al massimo in due.
Anche le vinacce semifermentate potrebbero essere distillate subito sacrificando sull’altare della qualità il danno economico della minor resa dovuto all’incompleta trasformazione degli zuccheri ma, il grosso problema si pone per le vinacce vergini, che non contengono alcol e quindi devono per forza essere insilate affinché si compia la fermentazione. Ed è sotto questo punto di vista che negli ultimi trent’anni si è registrata la maggiore innovazione nella produzione della grappa.

Tratto da L’Assaggio 63 – Autunno 2018

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