Come le sembra l’idea di riscoprire le grappe arricchite con erbe e frutti anche cambiando il nome in Grappe officinali? E quali altri argomenti/iniziative le vengono in mente per creare una solida narrazione della grappa?
Il tema del “nome” che diamo alle grappe è particolarmente delicato: basti pensare a termini come morbida, secca, bianca, gialla, barricata … tutti aggettivi, diventati un po’ nome, che provano, senza peraltro riuscirci, a descrivere un distillato tanto unico, complesso e sfaccettato quanto difficile da raccontare.
Chiamare officinali quelle grappe arricchite con erbe, bacche, frutti mi sembra un bel modo per nobilitare le vecchie e superate grappe aromatizzate, da sempre svilite a causa del loro stesso nome, fuorviante ed evocativo di aggiunte poco trasparenti.
Sull’onda del successo del Gin, dove i botanicals hanno da subito saputo ispirare sentimenti di naturalità e purezza, le grappe officinali potrebbero ritagliarsi un loro spazio qualitativo, uscendo finalmente dai confini della montagna, tradizionalmente considerata territorio d’ elezione per quel tipo di distillati.
Non è però una missione facile e dovrebbe essere accompagnata da una razionalizzazione della terminologia in uso per la Grappa. E una volta trovati i termini adatti andrebbero usati da tutti i produttori, indistintamente, a costo di imporli per Legge. Un lavoro lungo e difficile che potrebbe essere impostato dal Consorzio Nazionale Grappa e poi affidato ad esperti di comunicazione.
La fantasia che abbiamo usato per anni nel raccontare la Grappa ha pagato solo relativamente: siamo saliti sul carro dei monovitigni, delle barriques, delle casks, delle riserve e di chissà quante altre declinazioni, incluso il recente ingresso ufficiale nel mondo dei cocktails, quando poi della Grappa si dice ancora, anche in occasioni istituzionali, essere ottenuta da un sottoprodotto, se non addirittura da uno scarto!
Vinaccia e feccia suonano dispregiative l’una per il suffisso, l’altra anche per il significato. Eppure, non ci siamo mai accordati nel dire, per esempio, che la Grappa si ottiene dalla distillazione delle bucce dell’uva, espressione che tra l’altro suona bene anche in inglese, lingua nella quale la traduzione di vinaccia è sempre stata problematica e fuorviante.
Occorre ripensare la comunicazione della Grappa dalla base, dai fondamentali.
Un altro esempio è il modo di comunicare i tempi di invecchiamento. Chi non si sente imbarazzato a spiegare che per “invecchiata” intendiamo una grappa rimasta nel legno per soli dodici mesi? Al cospetto di Cognac, Whisky e Rum che esibiscono lustri, decenni, quarti di secolo di invecchiamento i nostri dodici mesi sono veramente poca cosa. Tutto lì? ci chiedono soprattutto all’estero e anche quando parliamo di “riserva” o dichiariamo qualche anno di invecchiamento le cose non migliorano molto.
Ma lo raccontiamo nel modo giusto questo tempo di invecchiamento? Abbiamo mai detto e scritto che la capacità di ossidazione e di estrazione dal legno della Grappa è di molto superiore a quella di Cognac, Whisky e Rum messi insieme?
Qui è un po’ come la storia dell’età del cane rapportata a quella dell’uomo. Se si dice che un anno di vita per un cane equivale a x anni di vita per un uomo, significa che per l’uomo il tempo scorre più velocemente: lo potremmo dire anche per la Grappa, i suoi dodici mesi equivalgono a x anni per un Cognac o un Whisky o un Rum!
Detto in modo più serio, esistono studi scientifici che lasciano intuire questa capacità della Grappa di “accelerare il tempo”, dovremmo approfondirli e poi costruirci sopra una comunicazione straordinaria per la Grappa, che da Cenerentola degli invecchiamenti passerebbe a Regina.
Sono passati almeno cinquant’anni da quando si è cominciato a provare a raccontare la Grappa in modo più accattivante. Ad essere onesti non ci siamo ancora riusciti e allora, se tutto quel tempo non è bastato, vuol dire che dobbiamo cambiare direzione, indagando meglio dentro al nostro Prodotto, da come e dove nasce, a come cresce e matura.
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