Sì, è vero, i liquori a base di limone stanno segnando un po’ il passo e nell’ultimo anno un po’ hanno perso. Ma il dolce vince, oltre a rappresentare più di un quinto del bere forte è comunque in crescita. Volendoci spingere sull’arduo terreno della psicologia potremmo dire che la promessa costituita dal sapore dolce in certi casi costituisce una modalità di cancellazione degli affanni. Unito all’alcol ha poi il sapore della doppia trasgressione. Vista così la cosa è un po’ triste e se è vero che molti produttori approfittano del citato meccanismo per esitare sul mercato miscele che proprio opere d’arte non sono, occorre considerare che ve ne sono altrettanti che i liquori li producono in modo virtuoso, partendo da materie prime eccellenti. In questo contesto troviamo i distillatori che generano liquori a base grappa. Cosa cambia? Sicuramente che è molto più difficili produrli, perché le interferenze tra il potente aroma della grappa con le componenti vegetali che si usano faticano ad andare d’accordo. Pensiamo solo al limone – e ci torniamo perché è un frutto che merita una riqualificazione anche in ambito liquoristico – che è un potenziale portatore di amaro, come lo è anche la grappa. Insieme possono sinergizzarsi per generare una nota stonata. Ma le molecole aromatiche possono fare anche di peggio. Quindi un liquore con base grappa è un liquore più raro, più difficile da preparare, per questo vale di più.
Ma non solo: l’aroma di un liquore a base di acquavite di vinaccia ha una complessità aromatica, soprattutto nei segnali deboli, decisamente più seducente. Non ci riferiamo solo ai liquori dolci, troviamo anche amari di alto livello dove la base è costituita dalla grappa.
Viste così le cose: anche chi si occupa di bere miscelato usando la grappa può essere considerato un virtuoso? Sicuramente sì, ma in entrambi i casi l’apprezzamento è determinato dalla sapienza dell’utente e, ovviamente, dalla capacità del narratore.
Luigi Odello
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