Le feste esigono qualcosa di particolare, qualcosa capace di portare fuori dalla normalità. È un’esigenza generale che investe lo spirito e la vita materiale dettata dalla necessità di uscire dalla routine.
Un tempo parlare di grappa per le feste evocava immediatamente la serie di confezioni regalo che andavano da quella curiosa come le fialette in simil pacchetto di sigarette a quella numerata per un omaggio importante, passando per le bottiglie in vetro soffiato, alcune veri esemplari della nostra arte vetraria, altre così kitsch da fare impallidire chi ha inventato il termine.
Oggi parlare di grappa delle feste assume un nuovo significato descrivibile con tre elementi che ne costituiscono un presupposto essenziale: il valore sensoriale del prodotto, il suo valore narrativo e un consumatore capace di coglierli entrambi. Il primo elemento è sicuramente quello maggiormente curato dai grappaioli che hanno puntato decisi (scienza o intuizione?) alle attese del consumatore: morbidezza (e non stucchevole dolcezza) e un ventaglio aromatico capace di fare discutere e di indurre a nuovo sorso. Il miglioramento nella cura della vinaccia, con conseguente enfasi del vitigno e del territorio, della distillazione e dell’elevazione in legno hanno portato sul mercato grappe setose con aromi che vanno dal floreale alla pasticceria passando per il fruttato intenso, il vegetale appena percepito e lo speziato educato.
Sul valore narrativo i produttori ci stanno lavorando e alcuni sono già a buon punto: le grapperie sono diventate crogiuolo di tecnologia fusa con notevole bellezza estetica per proporsi quali centri qualificati di accoglienza nell’ambito del turismo enologico e le confezioni hanno acquisito maggiore rigore. Notevoli margini di miglioramento su queste ultime esistono ancora a riguardo della coerenza con il contenuto e dell’eloquenza con la quale sanno esprimere il valore della grappa, ma le premesse sono ottime.
Il terzo elemento, il consumatore che sa davvero apprezzare il valore intrinseco della nostra acquavite, è ancora zoppicante e per certi versi corre il rischio di deviazioni pericolose. Anche se può sembrare assurdo, la grappa corre oggi il pericolo di una overdose di sacralità che potrebbe farla diventare un simbolo, un prodotto da tutti apprezzato e da pochi consumato. Se da un canto siamo contrari a volerla miscelare a ogni costo o a inventare riti come quello del tequila bum bum per farla tracannare, dall’altro scorgiamo la necessità di un consumatore che unisca sì il sapore al sapere, ma che della grappa sia ghiotto, che la beva, che non sacrifichi proprio il grappino per evitare di dispiacere l’etilometro. E’ vero, la grappa nel convivio viene per ultima e più d’uno fa i conti dell’alcol che ha bevuto rinunciando a 25 millilitri di ardore (10 millilitri di alcol). Ma in questo modo perde quanto di meglio potrebbe esserci nella conclusione del pasto, lascia una torta senza la ciliegina. Insomma, la grappa della festa è quella che fa fare festa davvero. E ciò sarebbe anche un gran festa della grappa.
Luigi Odello
Presidente – Centro Studi Assaggiatori
Professore di Analisi sensoriale alle Università di Verona, Udine e Cattolica di Piacenza
presidenza@assaggiatori.com
No Comments