Apriamo la serie delle puntate di questa rubrica dedicate alla distillazione. Prima di passare in rassegna gli alambicchi, diamo uno sguardo alla storia della distillazione nel nostro paese, utile per comprendere l’unicità della grappa.
La grappa appartiene alla famiglia delle acqueviti. Una famiglia con una lunga storia alle spalle. L’acquavite veniva infatti già studiata dalla Scuola Salernitana che, intorno all’anno Mille, codificò le regole della concentrazione dell’alcol attraverso la distillazione e prescrisse l’impiego dei distillati per curare un certo numero di malattie. La distillazione in Italia è quindi una pratica molto antica. Le vinacce, materia prima povera ma aromaticamente ricca, sono sempre state molto diffuse: già nel 1400 si parla dello spirito che se ne ricava, per l’appunto un’acquavite di vinaccia, l’antesignana della grappa. In ogni regione il distillato aveva infatti una denominazione diversa, e veniva prodotto con criteri strettamente dipendenti dai gusti locali, dal patrimonio viticolo ed enologico esistente, dalle possibilità tecniche e legali.
La grappa acquista una sua identità rispetto alle altre acqueviti europee solo a partire dall’Ottocento. Poco dopo la metà di questo secolo il vecchio continente è scosso dalla filossera, la malattia della vite che importiamo dall’America. Si tratta di un afide che attacca le radici delle viti e ne causa la morte. Lo sconvolgimento del patrimonio viticolo europeo è pesante: la carta viticola viene praticamente riscritta, molti vitigni pre-malattia vanno persi e l’unica soluzione sarà l’innesto delle viti europee su quelle americane. Così i paesi europei vanno differenziandosi anche in base al proprio patrimonio viticolo. E di conseguenza i distillati che derivano dalla vinaccia assumono caratteristiche più nazionali, compresa la grappa.
Altro elemento che porta a una maggiore differenziazione della grappa dagli altri distillati è l’invenzione della colonna di distillazione. Il padre è il fiorentino Baglioni che nel 1813 progetta questo strumento in grado di concentrare i liquidi alcolici in acquavite con una sola operazione. E inoltre permette di correggere molte imperfezioni della materia prima di partenza. Un bel ritrovato della tecnica che però richiede un certo investimento iniziale e, per lavorare, fonti energetiche adeguate. Per questo la tecnologia è adottata per le vinacce da molti paesi, ma non in Italia. Quindi mentre gli italiani lavorano le bucce degli acini d’uva direttamente ottenendo grappa, negli altri paesi queste sono “vinellate”, vale a dire trattate con acqua per ottenere un vinello da avviare poi alla colonna di distillazione.
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