L’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino ha codificato il significato di terroir inserendo l’elemento umano come fattore caratterizzante di un vino. Non solo più fattori pedoclimatici e vitigno quindi, ma l’ingegno dell’uomo che viene riconosciuto per dare fisionomia al prodotto. Ci si avvicina sempre più alla filosofia che noi stessi abbiamo sempre portato avanti e che viene codificata anche nella proposta di legge dell’on. Lion sull’autenticità certificata: è l’uomo, con il proprio modo di intendere e interpretare la realtà, colui che governa il sistema e quindi il vero autore del profilo sensoriale del vino.
Se questo è vero per la bevanda di Bacco, per la grappa assume un valore ancora superiore, e non solo perché la distillazione accresce ulteriormente l’importanza del fattore umano. Il vino è una fotografia del territorio che tende a sbiadire piuttosto in fretta: qualche anno, qualche lustro al massimo. La grappa invece ha la possibilità di generare una memoria fisica che va ben oltre quella dell’uomo. Dopo la distillazione evolve rapidamente, per poi poter rimanere sensorialmente stabile per decine di anni, o forse per secoli. L’imprecisione in questo caso è d’obbligo, perché una seria ricerca in tal senso non è mai stata fatta e in ogni caso sarebbe tutt’altro che facile. Ma aprendo bottiglie datate l’intenditore si può accorgere con facilità di come era la realtà produttiva una volta, quando la sensibilità umana verso il prodotto era differente, i vitigni pure e forse anche il clima.
La grappa è quindi lo specchio fedele delle condizioni antropologiche e tecnologiche in cui viene prodotta, ma alla loro scoperta si frappone un problema non da poco: trovare le bottiglie. La nostra acquavite di bandiera non vanta infatti collezioni perché le condizioni di vita di un tempo non consentivano certi lussi: veniva fatta per essere bevuta. Bastava averne.
Luigi Odello
Presidente – Centro Studi Assaggiatori
Professore di Analisi sensoriale alle Università di Verona, Udine e Cattolica di Piacenza
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