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La grappa più buona

Qual è la grappa più buona? È questa la prima domanda che scatta ogni volta al termine di una conferenza con un pubblico non di settore. Incontri di questo tipo si sono moltiplicati negli ultimi venticinque anni. La fantastica crescita di immagine e di qualità sensoriale della grappa infatti ha portato molte associazioni che raccolgono gli amanti del buon vivere a organizzare serate in compagnia di un esperto del nostro distillato. Questo, generalmente, il programma. Dapprima un breve excursus sulla tecnologia produttiva, poi un rapido accenno alle caratteristiche sensoriali e infine il gran momento: l’assaggio di una serie di grappe.

Quando si apre il dibattito la prima domanda è quasi sempre: qual è la grappa più buona? Dall’esperto l’uditorio vuole un nome, un riferimento preciso. Ma se l’esperto è coscienzioso deve rispondere con un ragionamento, sulla base di una serie di variabili in ordine decrescente di importanza.
Il primo fattore di cui tenere ben conto è la marca. Da anni sosteniamo sulla base di dati oggettivi che il produttore è il primo garante della qualità. Naturalmente il marchio va verificato: di rado, ma può succedere, può restare lo stesso, ma nel tempo la gestione dell’azienda può cambiare, con la conseguenza che il profilo sensoriale delle grappe può essere sconvolto da una mano diversa. Da sempre è il mastro distillatore che seleziona la materia prima, ne adegua i processi produttivi e, passaggio essenziale, dà il permesso all’immissione al consumo dell’acquavite. Lo fa sulla base del suo gusto e della sua esperienza, ma soprattutto, se è bravo, mediante un ascolto attento di chi esprime un parere sul prodotto. Il mastro distillatore scolpisce nelle grappa le sue personali convinzioni  e le conferisce così un preciso profilo sensoriale.

Il secondo punto da tenere in considerazione riguarda la tipologia su base sensoriale. La grappa si presenta in una gamma assai variegata: ci sono le giovani e le giovani aromatiche, le elevate in legno e le elevate in legno aromatiche e, infine, le aromatizzate (alla ruta, all’ortica  e via dicendo). Ogni categoria trova i suoi estimatori.
Infine c’è da tenere debitamente conto della regione e dei metodi di produzione. Alcune caratteristiche del prodotto sono in qualche modo dipendenti dall’ambiente fisico e filosofico. Mediamente una grappa trentina sarà sempre più delicata e sfumata di una grappa piemontese che tende alla prestanza e all’austerità anche quando è fatta con vinacce di Moscato, un vitigno che generalmente evoca la morbidezza e il dolce. Nel corso dei secoli si è infatti creata un certa cultura regionale che ha portato a una base ampelografica caratteristica, la quale ha poi ispirato la tipologia di alambicco e altre pratiche tecnologiche.

Insomma, la grappa più buona non esiste, ma sappiamo per certo che la qualità della grappa comincia dall’assenza di difetti. Il resto è gusto personale ed è bene che sia così: è la miglior difesa della straordinaria pluralità tipologica della grappa nei confronti di altre acqueviti che invece nel tempo si sono sempre più omologate.

Luigi Odello
Presidente – Centro Studi Assaggiatori
Professore di Analisi sensoriale alle Università di Verona, Udine e Cattolica di Piacenza
presidenza@assaggiatori.com

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