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La grappa ha tutto, cosa manca alla grappa?

Trent’anni fa la grappa aveva solo una solida tradizione e un gruppo di irriducibili distillatori. Il principe del bere generoso secco era l’whisky o il cognac per gli intenditori. Si discuteva intorno a questa esterofilia. Alcune marche cercavano di porvi rimedio con massicce campagne pubblicitarie televisive: c’era chi saliva sempre più in alto, chi distillava dodici volte per prendere solo il cuore e chi faceva appello alla tradizione alpina.

Oggi la grappa è la preferita, vanta profili sensoriali invidiabili, convinti estimatori di rango, eleganti opifici in cui si produce, confezioni da collezione, una ricca bibliografia anche in lingua straniera, ricerche tecnologiche e sensoriali che poche altre bevande possono vantare, un nutrito gruppo di ambasciatori, molte manifestazioni per la promozione, una regolamentazione che ne tutela il nome, un istituto nazionale che è un vero paladino. Ma non solo: la grappa risulta oggi perfettamente inserita nella filiera vitivinicola al punto che migliaia di cantine hanno messo a listino la nostra acquavite e non mancano musei, centri di documentazione e biblioteche internazionali per consentire ai clienti appassionati veri pellegrinaggi per la penisola. Esiste dunque un turismo della grappa che si inserisce e potenzia quello enologico.

Ma allora cosa manca alla grappa per vincere le sfide che si palesano in questo 2009? Davvero il cielo è così terso o esistono nubi minacciose? I temporali sono già annunciati: proposte di legge in contrasto tra loro (basti pensare al discorso di liberalizzare la grappa casalinga e, per contro, l’aumento del carico burocratico anche per le piccole distillerie), la lotta indiscriminata all’alcol, i tagli alla spesa che comunque gli italiani dovranno fare.

Come sempre nei tempi di vacche grasse, umanamente, ognuno pensa per sé, mentre quando incombono pericoli nasce spontanea la solidarietà. Ed è di questa che abbiamo bisogno: che i grappaioli recuperino la coesione che hanno manifestato negli anni Settanta e Ottanta in una forma nuova. Ci sono due grandi valori da promuovere e tutelare: la grappa tout court e la marca come espressione di pluralità e diversità vera.

In questo contesto l’orgoglio aziendale non va assolutamente taciuto, ma deve seguire e non precedere quello dell’interesse generale. E men che meno le regioni devono essere motivo di frammentazione delle forze: gli istituti che tutelano e promuovono le singole denominazioni hanno la responsabilità di mettere al primo posto il bene comune.

E poi occorre pensare ai clienti e alla loro ansia di innovazione: negli ultimi anni alla consumata denominazione di vitigno i grappaioli hanno saputo affiancare il rinascimento della grappa affinata in legno che è diventato elemento trainante in meno di un lustro. E ora che fare di nuovo senza tradire la tradizione? Pensiamoci tutti insieme, ma con occhi nuovi, quelli che guardano ciò che vedono i consumatori di domani.

Luigi Odello
Presidente – Centro Studi Assaggiatori
Professore di Analisi sensoriale alle Università di Verona, Udine e Cattolica di Piacenza
presidenza@assaggiatori.com

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