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L’invecchiamento e l’aromatizzazione

La grande maggioranza dellla grappa prodotta va all’imbottigliamento senza passare in legno. Una piccola parte gode però di un periodo di riposo, generalmente in barriques – ma non solo, si usano anche in tini – che ne modifica il profilo sensoriale. Si parlerà di grappa “invecchiata” se questo periodo è di almeno 12 mesi, di grappa “riserva” se almeno di 18 mesi. Per un lasso di tempo inferiore a un anno si parla semplicemente di “affinamento”.

Cosa fa variare il profilo sensoriale del prodotto? Principalmente grazie all’azione dell’ossigeno contenuto nell’aria, che giunge a contatto con l’acquavite attraverso la porosità del legno, e a quella delle sostanze cedute dal legno stesso alla grappa. La grappa, infatti, in quanto liquido alcolico ha una bassa tensione superficiale. Questo le permette di penetrare nei lunghi e microscopici canalicoli che costituiscono i cosiddetti “pori” del legno. In quanto ai materiali usati per i contenitori per l’affinamento e l’invecchiamento, questi sono costruiti con legni di frassino, ginepro, melo, acacia, castagno, ciliegia, mandorlo e rovere, il più utilizzato.
Un’altra variante della grappa “bianca” è l’aromatizzazione. Si tratta di una produzione numericamente esigua che si rifà essenzialmente alla tradizione. Nella grappa vengono direttamente aggiunte parti di pianta o estrati idroalcolici di questa. Nasce così quella gamma di prodotti alla ruta, alla camomilla, alla salvia, ma anche al mugo, al ginepro e all’asperula, molto presenti nell’immaginario collettivo. Fino ad arrivare alle bacche molto aromatiche, come per esempio i mirtilli. E’ importante sottolineare che quest’aromatizzazione si ottiene da componenti naturali e non di sintesi chimica: questi infatti non sono permessi dalla legislazione in vigore.

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