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Il codice visivo della grappa

La vista è un organo di senso di tipo fisico che consente la percezione dell’ambiente esterno attraverso una forma di energia elettromagnetica: la luce.
L’organo di senso preposto alla rilevazione dei segnali è il sistema visivo il cui elemento primario è costituito dagli occhi.
La luce attraversa la cornea e il cristallino per finire sulla retina dove trovano sede due tipi di cellule sensibili:

  • coni: sensibili ai colori e ai dettagli, sono preposti alla visione diurna;
  • bastoncelli: danno una visione più approssimata, necessitano di una minore quantità di energia e sono preposti soprattutto alla visione crepuscolare;

Dai coni e dai bastoncelli il segnale viene trasmesso attraverso cellule bipolari e gangliari (i cui assoni costituiscono il nervo ottico) al cervello dove il segnale viene elaborato.

Le onde elettromagnetiche comprese nel campo del visibile hanno una lunghezza variabile tra 400 e 760 nanometri (milionesimi di millimetro) e a seconda della lunghezza d’onda dell’energia catturata dal senso della vista si ha la percezione del colore, determinato quindi dalla lunghezza d’onda dell’energia riflessa. In poche parole: una fragola è rossa perché assorbe tutte le lunghezze d’onda tranne quella che noi decodifichiamo come rosso.

Il codice visivo della grappa

TRASPARENZA

Se un raggio di luce attraversa una bevanda senza essere deviato da corpuscoli e giunge diritto al nostro occhio, si dice che il liquido in esame è perfettamente trasparente. Nel vocabolario della degustazione si usano i termini brillante, cristallina, e limpidissima. Quando questa virtù decade per la presenza di crescenti quantità di particelle, anche se di piccolissime dimensioni, gli aggettivi usati per formare una scala discendente sono: limpida, chiara, velata, opalescente, lattiginosa, torbida.
La grappa deriva dalla distillazione ossia da quell’operazione fisica che, da sempre, è sinonimo di purificazione. Sgorga quindi dall’alambicco più cristallina dell’acqua di roccia e solo errori e negligenze dell’uomo ne potranno turbare lo stato di perfetta trasparenza. Produrre grappa limpida non è dunque gran merito mentre mettere in commercio un’acquavite in precario stato di trasparenza è indice di incompetenza o, quantomeno, di incuria. Per la verità un momento di evidente corruzione della limpidezza della grappa c’è: si verifica quando l’acquavite ad alto grado (normalmente lo spirito stilla dall’alambicco con una concentrazione alcolica variabile tra 60 e 86%) viene diluita con acqua per portarla alla gradazione di consumo (37,5-60°). Nell’istante in cui c’è la miscelazione dei due liquidi alcuni componenti ad alto peso molecolare, chiamati in gergo oli, si insolubilizzano rendendo l’aspetto dell’acquavite opalescente o, addirittura, lattiginoso. Con una buona refrigerazione a temperature non molto differenti da quelle polari (10-20°C sottozero) e una filtrazione serrata si elimina la velatura migliorando parallelamente l’acquavite anche sotto il profilo gusto-olfattivo. Gli oli sono infatti normalmente costituiti da esteri formati dall’alcol etilico e dagli alcoli isoamilici con acidi grassi. Refrigerazioni o filtrazioni eseguite male danno acqueviti limpide solo temporaneamente: col tempo infatti gli oli possono causare velature o stratificarsi sulla sommità del liquido nelle bottiglie formando poco estetici collarini.
Un altro turbamento alla limpidezza può essere dovuto all’acqua usata nella riduzione del grado. Se questa contiene sali di calcio e di magnesio dà luogo ad una velatura alla quale segue un deposito polverulento sul fondo della bottiglia, provocato dall’insolubilizzazione dei citati costituenti. Ecco uno dei motivi principali per cui un tempo si dava molta importanza all’acqua disponibile in distilleria. Oggi, molto saggiamente e senza curarsi della perdita di una inutile nota poetica, si usa quasi sempre acqua distillata – ossia sicuramente pura – o acqua dalla quale sono stati eliminati i cationi precipitabili (calcio, magnesio ecc.). Anche cessioni di ferro e di rame da parte dell’alambicco possono provocare decadenza della trasparenza ma in questo caso vi è una concomitante alterazione del colore. Non grave pregiudizio di qualità ma fastidioso indice di incuria è, infine, rappresentato dalla presenza di sospensioni dovute a passaggio di tracce di coadiuvanti di filtrazione e inclusioni accidentali. A volte, per il degustatore, è veramente difficile giudicare quando la limpidezza è, ad esempio, compromessa da filamenti lasciati da uno strofinaccio durante l’asciugatura del bicchiere o filamenti causati da un incidente nella filtrazione.

TONALITÀ DEL COLORE

Ogni radiazione luminosa ha una propria lunghezza d’onda che, in pratica, viene da noi tradotta in un colore. Se da esempio al nostro occhio arriva una radiazione intorno ai 600 milionesimi di millimetro (nanometri) avremo la sensazione di percepire il colore giallo. Ora, se una grappa ha la capacità di lasciarsi attraversare da un raggio di luce senza modificarne la composizione sotto il profilo delle lunghezze d’onda, l’acquavite in esame verrà definita incolore o bianca, anche se quest’ultimo termine è improprio. Senza eccezione alcuna, tutta la grappa nasce incolore; è l’uomo che la veste di varie tinte con operazioni più o meno in linea con le moderne – e non di rado esasperate – tendenze di naturalezza e di genuinità. Le grappe giovani sono tassativamente sempre incolori. Quelle invecchiate, intendendo con questo termine il soggiorno più o meno lungo in botti di legno non impermeabilizzate, hanno una tonalità di colore che varia dal paglierino appena percettibile, all’ambrato carico. L’essenza legnosa con la quale viene a contatto l’acquavite ha un grande potere caratterizzante. Si passa dal giallo oro (a volte ambra), derivato dal rovere, al giallo-verdolino dell’acacia. E, alle nuances brune del castagno, si oppongono le tonalità gialle squillanti – ma esistenti e non assenti come qualcuno vorrebbe – del frassino, quelle verdoline del gelso e quelle fulve del ciliegio. Dove c’è invecchiamento c’è colorazione anche se è vero che una grappa può soggiornare in botte senza colorarsi. Succede nel caso di botti molto grandi e/o molto stanche a seguito di ripetuti invecchiamenti di acqueviti. Ma in questo caso dal legno non solo non ricavavano più sostanze coloranti, ma neppure componenti fautori di classiche quanto pregiate note sensoriali. Ma allora perché parlare ancora di invecchiamento? In questo caso l’occhio ha ragione: è giudice severo ma giusto. Difatti, ormai da secoli, si ricorre al caramello – una sostanza colorante prodotta riscaldando lo zucchero – per ingannare l’occhio rendendo le acqueviti più o meno gialle e quindi ottenendo una caratteristica propria dell’invecchiamento autentico. Se da un canto sarebbe auspicabile il divieto dell’uso dello zucchero bruciato oltre che del caramello messo al bando per le grappe non invecchiate, dall’altro pare inutile e riprovevole dichiarare invecchiata una grappa che di giallo non ha neppure una percettibile nuance: o è stata in legno troppo esausto per troppo poco tempo o, ancora, la botte era troppo grande. In definitiva c’è carenza nel processo e quindi non è giusto che ricavi un blasone di nobiltà da un dichiarato soggiorno in legno. La legge in materia, purtroppo superficiale, può conferirglielo ugualmente, il degustatore attento no. I colori della grappa non si esauriscono di certo nella gamma dei gialli: l’acquavite di vinaccia annovera infatti nel clan di famiglia un certo numero di componenti che sono aromatizzati. Tra questi una parte, la più vera ed apprezzata, è prodotta mettendo a macerare vegetali o parti di essi nella grappa. Gli eventuali pigmenti in essi contenuti vengono solubilizzati nel distillato e producono profondi cambiamenti di aspetto. Le erbe ricche di clorofilla come la classica ruta donano alla grappa verdi smaglianti, il mugo e l’asparago la tingono di giallo tenue con delicate sfumature verdoline, frutti come il mirtillo la colorano con una notevole gamma di toni rossi e viola.

INTENSITÀ DEL COLORE

Se con il termine tonalità viene indicata e presa in considerazione la tipologia del colore (ossia, se vogliamo essere tecnici, la lunghezza d’onda della radiazione percepita dal nostro organo della vista), con esso non si può esaurire il tema in quanto occorre ancora un parametro che dia alla sensazione percepita una dimensione di grandezza. È quanto si valuta con la voce intensità nella quale si determina quantitativamente la presenza di un colore. Così, ad esempio, un giallo paglierino può essere: appena percettibile, scarico, netto, deciso o intenso. Le tonalità più scure paiono normalmente anche più intense ma, nella degustazione, occorre fare molta attenzione a non confondere le due cose. In effetti, per quanto riguarda l’intensità, è importante che sia giusta: colorazioni troppo marcate possono far sorgere l’idea dell’artefatto o per lo meno di inutili forzature. Colorazioni slavate possono non essere molto gradite, ma al giorno d’oggi è preferibile, nell’intensità di colore, una leggera carenza a una non giustificata abbondanza.

ARCHETTI E LACRIME

Archetti e lacrime, dovuti alla differenza di tensione superficiale del film di liquido che scendendo per le pareti del bicchiere perde velocemente alcol, nel vino danno una certa informazione, mentre nella grappa non recano di fatto significati apprezzabili. Però sono belli da vedersi e quindi normalmente il degustatore li osserva.

ATTRAENZA

Indica il valore di piacevolezza visiva di una grappa. È un carattere edonico che nasce dall’interazione delle caratteristiche visive con le attese che si genera il suo fruitore.

Luigi Odello
Il codice sensoriale grappa

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