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Grappa: sensorialità e innovazione tecnologica

La vite è un arbusto decisamente egoista: sintetizza gli aromi nella buccia degli acini solo quando i semi sono maturi. Lo fa per richiamare gli aiutanti che l’ambiente può offrirle per propagare la specie, uomo non escluso. Quindi una grande grappa inizia da acini ben maturi e l’obiettivo è quello di enfatizzare ciò che la natura ha prodotto mediante le fasi successive: fermentazione, distillazione e affinamento. Le insidie lungo questo percorso sono numerose e decisamente pericolose, più preoccupanti quando la vinaccia non fermenta con il mosto, come nel caso delle vinificazioni in bianco. Da una parte c’è infatti il pericolo di perdere parte o tutto della carica aromatica prodotta dalla vite, dall’altro il baratro rappresentato da fermentazioni anomale e da distillazioni mal riuscite. L’innovazione tecnologica per produrre grappa di alta qualità è partita con il piede giusto, proprio tenendo conto di quanto desiderano i consumatori, attraverso migliaia di test che vengono ripetuti annualmente da un paio di decenni. Dai risultati di queste ricerche si è potuto osservare che i consumatori sono prorio attratti da ciò che la vite sintetizza nella buccia degli acini d’uva. Quindi l’evoluzione tecnologica è stata volta al perseguimento di questo obiettivo, aiutata anche dal miglioramento dell’enologia che, tendendo alla produzione di vini di sempre maggiore qualità, offre alla distilleria una materia prima più ricca. Ma deve anche fornirla velocemente. Sperimentazioni compiute con l’utilizzo di ghiaccio secco, per bloccare ogni attività enzimatica al momento della separazione della vinaccia dal mosto, hanno messo in evidenza quanto sia deperibile la materia prima per fare la grappa: al caldo il deterioramento si può valutare nell’arco di ore, se non di minuti. La seconda operazione delicata consiste nell’eliminazione dei raspi, presenti soprattutto nella vinaccia vergine e responsabili di azioni meccaniche indesiderate, nonché di apporto di note vegetali che proprio pregiate non sono. Il successivo ripristino dell’acidità, la riduzione delle temperatura (se è elevata) e dell’ossigeno sono ormai di prassi nella maggior parte delle distillerie, mentre continuano le sperimentazioni con ceppi di lieviti particolari in grado di contrastare microrganismi dannosi. Fino qui l’innovazione nel caso di impiego di vinacce vergini, perché quelle che fermentano con il vino sono più protette e necessitano solamente di pratiche che consentano una buona conservazione dell’alcol e tengano lontani batteri acetici e lattici. Ma un altro bel passo avanti è stato compiuto nell’ambito della distillazione. Con l’avvento sempre più frequente della doppia distillazione, con la produzione di flemme nella prima e la successiva distillazione dolce in alambicchi bagnomaria, la filtrazione tra le due operazioni ha dimostrato di consentire l’ottenimento di grappe più morbide e di maggiore fragranza. Molto interessante, per il trasferimento degli aromi primari e secondari, risulta anche una differente gestione delle code. Un tempo queste venivano girate in cassa flemme e reintrodotte nell’alambicco con la cotta sucessiva, creando così azeotropi sensorialmente negativi non di rado pregiudicanti la finezza e la morbidezza dell’acquavite. Oggi in molti casi si accumulano e sono poi distillate separatamente, originando così un prodotto di seconda scelta. Possiamo quindi affermare che le nuove tecnologie consentono l’ottenimento di un cuore di purezza mai raggiunta sinora. E l’affinamento? Dipende: se la grappa sarà destinata a essere consumata giovane o se verrà elevata in legno. Nel primo caso l’acciaio inossidabile rimane il materiale più idoneo, nel secondo passerà un soggiorno più o meno lungo in botti e tini più o meno grandi. Anche in questo caso si registra un’innovazione imponente realizzata attraverso diverse essenze – non solo rovere, ma anche frassino, ciliegio e altri legni ancora – gestiti diversamente a seconda della capacità e il grado di vetustà. Oggi troviamo grappe che sono passate in tre o quattro legni differenti, altre che vengono messe per brevi periodi in botti nuove e poi trascorrono molto tempo in fusti che non cedono più elementi propri ma consentono matrimoni d’amore tra i componenti dell’acquavite. Ricetta giusta non esiste, dall’acino d’uva alla bottiglia solo una serie di operazioni tra loro coerenti condotte con maestria possono dare una grappa eccellente. E oggi ce ne sono davvero molte sul mercato, tante da indurre un nuovo entusiasmo tra gli amanti della nostra acquavite di bandiera.

Luigi Odello
Presidente – Centro Studi Assaggiatori
Professore di Analisi sensoriale alle Università di Verona, Udine e Cattolica di Piacenza
presidenza@assaggiatori.com

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