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COME SI CONSERVA LA VINACCIA PER FARE LA GRAPPA

La conservazione della vinaccia

L’insilamento può portare a un deterioramento con produzione di componenti volatili più o meno indesiderati o con la distruzione di sostanze odorose di pregio. In alcuni casi le trasformazioni a carico della vinaccia sono così disastrose da rendere inutilizzabile il materiale per la produzione di grappa.
Osserviamo quindi sinteticamente le modificazioni, siano esse leggere o patologiche, che si possono verificare durante l’insilamento:

  • le pectine, costituenti fondamentali della buccia, possono subire un attacco da parte della pectinmetilesterasi, uno degli enzimi naturalmente presenti nell’uva, con liberazione di alcol metilico. Essendo infatti l’acidità della vinaccia attenuata rispetto a quella del mosto, il citato enzima demetilante è alcune centinaia di volte più attivo. L. Usseglio Tomasset ha messo in evidenza come su vinacce di Moscato e Pinot l’alcol metilico raddoppi nei primi dieci giorni di insilamento per poi aumentare solamente del 10-20% nei successivi tre o quattro mesi. Questo fatto non ha implicazioni sulla salute umana come qualcuno, tentando una facile speculazione per screditare la grappa, avrebbe voluto far credere, ma è lo stesso importante perché impone alle distillerie cha lavorano la vinaccia insilata l’uso di una colonna particolare atta all’eliminazione dell’alcol metilico. Il riflesso di questo elemento di rettificazione sui caratteri organolettici dell’acquavite è piuttosto forte e porta a variazioni notevoli del quadro aromatico rendendo la grappa, specialmente quella ottenuta da vinacce di vitigni a frutto neutro, meno fragrante. Nel corso degli anni si è diffuso un nuovo modo di impiegare la demetilante proprio per attenuare questa influenza;
  • gli acidi grassi insaturi subiscono una parziale ossidazione con conseguente formazione di aldeidi – sempre insature – che, anche se presenti in bassissime quantità, potranno conferire alla grappa un poco piacevole sentore di rancido;
  • l’alcol etilico viene in parte trasformato in acido acetico a opera degli omonimi batteri con grave perdita economica e collaterale deprezzamento sensoriale;
  • il 2-butanolo, alcol superiore poco gradevole sul piano organolettico e non desiderato su quello igienico, è presente solo in tracce nella vinaccia fresca mentre con l’insilamento può raggiungere valori molto alti a seguito di un’attività batterica condotta in assenza di ossigeno;
  • gli zuccheri possono essere fermentati da batteri che, invece di produrre alcol, li trasformano in acido piruvico, lattico, acetico, propionico, butirrico. In tutti i casi c’è un notevole danno economico, ma se le produzioni di acido butirrico sono elevate la grappa prodotta potrà avere un poco simpatico odore di caprone;
  • gli acidi malico, tartarico e citrico possono, allo stesso modo, venire attaccati da batteri con formazione di molecole puzzolenti;
  • la glicerina, quando dovesse essere fermentata da batteri, può originare acroleina dalle ben note, quanto pessime, caratteristiche sensoriali;
  • le proteine, possono andare incontro a fermentazioni putride con liberazione di composti ammoniacali e solforati così sgradevoli da rendere non più distillabile la vinaccia;
  • lieviti selvaggi, oltre a ricavare energia dagli zuccheri senza dare una congrua contropartita in alcol, possono produrre odori di aglio, zolfo, uova marce e mercaptani: tutti difficilmente eliminabili in fase di distillazione;
  • le muffe trovano nella vinaccia un terreno di crescita ideale soprattutto quando hanno sufficienti quantità di ossigeno. Ricavano anch’esse energie dagli zuccheri e producono composti veramente orrendi sotto il profilo sensoriale. Distillare anche piccole quantità di vinaccia ammuffita vuol dire compromettere, in modo a volte irrimediabile, anche grandi volumi di grappa.

Tecnologie per la conservazione della vinaccia

É forse ovvio premettere – ma vale la pena di ribadirlo – che la grappa di qualità si ottiene solo da vinacce umide, correttamente fermentate e conservate per tempi limitati. Modifiche agli impianti di distillazione, soprattutto se di tipo discontinuo, possono contribuire solo a migliorare un prodotto già potenzialmente di buon livello, non certo a trasformare una materia prima alterata in un distillato di qualità accettabile.
Per raggiungere l’obiettivo di portare all’alambicco una materia prima di qualità, soprattutto se si tratta di doverla fare fermentare in distilleria, sono state messe a punto tecnologie innovative di notevole interesse che hanno molto elevato il livello sensoriale di qualità della grappa negli ultimi trent’anni.

Utilizzo di lieviti secchi e di bioregolatori

Si può imporre un avvio deciso alla fermentazione con abbondante inoculo di lieviti secchi, opportunamente moltiplicati e irrorati sulla vinaccia all’atto dell’insilamento, eventualmente aggiunti di attivanti di fermentazione (come il fosfato biammonico) e di bioregolatori, come la tiamina. Si assicura in tal modo una dominanza della fermentazione alcolica su altri biochimismi di trasformazione degli zuccheri. È necessario dar corso tuttavia, entro breve tempo, alla distillazione, prima che abbiano luogo comunque attacchi batterici sugli zuccheri residui e sui composti sopracitati.

I trattamenti di cui sopra – la cui sperimentazione è iniziata nel 1973 – danno buoni risultati solo se i lieviti selezionati riescono a prendere il sopravvento, soprattutto quando il substrato è decisamente favorevole alle azioni di altri microrganismi.

Correzione del ph

Si induce nel substrato, tramite l’acidificazione della vinaccia con acidi forti, un pH sfavorevole alle fermentazioni batteriche, ma non a quelle dei lieviti. È un intervento oggi largamente diffuso su tutto il territorio italiano. Si acidifica, con le adeguate precauzioni, più comunemente con acido solforico diluito in acqua o in liquido di scolo di altre vasche. In un lavoro del 1981 (Versini e Inama), si è illustrata la variazione compositiva e organolettica fra grappe ottenute da vinaccia trattata e non trattata. L’analisi è andata molto nel dettaglio e ha riguardato composti fermentativi e varietali, nonché alcune aldeidi presunte colpevoli dell’origine del sentore rancido o da insilato. Oltre a un rilevante miglioramento della franchezza e finezza dell’aroma, con l’acidificazione si consegue un altro fatto importante: la sensibile diminuzione del tenore di alcol metilico. Questo risultato è assai confortante, poiché consente in molti casi di rimanere entro i limiti di legge anche operando con vinacce vergini, senza dover ricorrere alla colonna demetilatrice.
Il trattamento di acidificazione delle vinacce, con presenza di una maggior quantità di liquido di imbibizione, sembra favorire anche una minor produzione di acetaldeide: la fermentazione alcolica può avere un decorso migliore e più equilibrato nei suoi prodotti intermedi, analogo a quello di un similvino. Il contenuto di acetaldeide nel distillato, che ne può determinare la negativa nota erbacea, è soprattutto legato, all’impiego – assolutamente da evitare – di anidride solforosa sulle vinacce da fermentare.
L’acetaldeide, che rappresenta un necessario intermedio nella fermentazione alcolica quale precursore dell’alcol etilico e il cui livello è regolato da un complesso di equilibri ossido-riduttivi di tipo enzimatico, viene complessata per oltre il 95% con l’anidride solforosa nascondendosi così alla ricognizione olfattiva. Ma se non risulta più disponibile sono i lieviti a produrla per ristabilirne il livello originario.
Durante la distillazione si rompe il complesso con l’anidride solforosa e si recupera nel distillato l’acetaldeide che causa, assieme al suo derivato con l’alcol etilico, l’acetale, l’odore erbaceo quando si superino tenori complessivi di 150 mg % ml di alcol anidro, come confermato anche per i distillati di vino (Cantagrel et al., 1993).

Controllo della temperatura

La maggiore corruzione della vinaccia può avvenire nel periodo intercorrente la sua separazione dal vino o, soprattutto, dal mosto e il suo arrivo in distilleria dove può essere assoggettata ai trattamenti di cui sopra. In un periodo caldo (oggi con il cambiamento climatico la vendemmia è anticipata e quindi le temperature sono elevate), in meno di 12 ore, anche a seguito delle reazioni esotermiche dovute all’inizio della fermentazione, la vinaccia più giungere in distilleria alterata, con una riduzione consistente del suo potenziale alcolico. Considerato questo come un punto critico i grappaioli concordano con le cantine ritiri puntuali, rapidi, e in molti casi anche un raffreddamento della vinaccia. In alcuni casi si è proceduto con metodi costosi come la neve carbonica. Anche in distilleria sono stati adottati metodi per la refrigerazione della vinaccia, ma sono risultati non efficaci quando il danno dovuto alla latenza si era già verificato.

Riduzione dell’ossigeno disponibilie

Un altro elemento che può alimentare i problemi descritti in fase di fermentazione o conservazione è la quantità di ossigeno. Come abbiamo già detto la vinaccia è un materiale spugnoso: un metro cubo di vinaccia solamente assestata può pesare meno di 500 chilogrammi, il che significa che più di 500 litri di volume sono occupati da aria che contiene oltre il 20% di ossigeno. Tra le innovazioni messe in atto sono da annoverare metodi che pressano la vinaccia in modo da eliminare la maggior parte di ossigeno anche senza fare ricorso alla compressione meccanica delle ruspe come avviene con i grandi silos a trincea o all’autocompressione dovuta al peso degli strati alti su quelli inferiori.

Eliminazione dei raspi

I raspi, la struttura legnosa del grappolo che tiene uniti gli acini, sono incredibilmente flessibili, delle vere molle. Abbiamo già detto che non concorrono ad alcun apporto benefico per quello che possono cedere, inoltre tendono a generare dei percorsi in cui l’aria può infiltrarsi nella vinaccia. Tra le nuove tecnologie messe in atto, considerando il fatto che nella maggioranza delle vinificazioni in bianco non sono separati, c’è quella del loro allontanamento dalla massa in distilleria mediante apposite diraspatrici da vinaccia.

Tratto da L’Assaggio 64 – Inverno 2018

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