Grappa News Scienze sensoriali

Alambicco, mastro distillatore e vinaccia

Anni fa, in Germania, dopo un fantastico seminario sulla grappa, alcuni operatori vollero mettermi alla prova chiedendomi di indovinare da quali vitigni derivasse una serie di grappe, ovviamente assaggiandole alla cieca. Dissi loro che non mi sarei cimentato, perché il vitigno, salvo quando è aromatico, lascia poca impronta sensoriale sulla grappa. Però, per stare al gioco, mi dichiarai disponibile a tentare di indovinare di quale alambicco fossero figlie quelle acqueviti ed eventualmente il mastro distillatore. Con mia meraviglia ne azzeccai quattro su cinque, citando anche i relativi produttori.

Perché questo era (perché oggi lo è un po’ di meno) possibile? Perché c’è una particolare correlazione tra la filosofia del mastro distillatore, la materia prima disponibile nella regione e l’alambicco che la distilla. In pratica il mastro distillatore adegua l’alambicco e il ciclo di distillazione per produrre la grappa che lui desidera. Sapete quella strana teoria che il tipo di cane esprime il carattere del padrone? Ecco, così è per la grappa. L’espressione sensoriale di essa è correlata con la personalità del mastro distillatore che a sua volta sceglie lo strumento adatto a scolpire un determinato profilo sensoriale. E’ da questo assunto che nasce la straordinaria varietà nel campo delle grappe e, di conseguenza, la variegatura del parco alambicchi. Ne abbiamo censiti 170 in Italia e possiamo dire che di simili ce ne sono molti, ma di eguali forse neppure due!

Tra simili possiamo però fare delle correlazioni sensoriali. Prendiamo il quasi scomparso tamburlano a fuoco diretto: dà grappe ardenti, a volte pungenti, rudi e selvatiche in molti casi, con qualche nota di fumo (e/o bruciato) di frequente. E il bagnomaria di stile trentino? Normalmente una nota di frutta cotta ne distingue la grappa, quasi sempre tonda e accattivante al gusto, profonda sotto il profilo aromatico. Ben diversa comunque dalle caldaiette a vapore, soprattutto negli impianti che accoppiano alle cilindroconiche cucurbite la corta colonna che raccoglie le borlande sul fondo. In questo caso la grappa si fa un poco più violenta, non mancano quasi mai note di mela stramatura a volte accompagnate da netti sentori di erba appena falciata. Per contro gli apparecchi continui danno generalmente grappe sottili e rigorose, di scarso spessore, ma di notevole pulizia.

Sembrerebbe quindi abbastanza facile riconoscere sensorialmente la grappa attraverso l’impianto che la produce, ma così non è più. Almeno per due motivi: da una parte il successo del bagnomaria di stile trentino l’ha portato a insiediarsi dalle Alpi alla Sicilia, dall’altro sono nati i fantastici apparecchi misti in cui il bagnomaria lavora le flemme prodotte da un disalcolatore continuo, unendo così il beneficio di lavorare la vinaccia il più possibile fresca con quello dei composti aromatici di neogenesi che si formano nel bagnomaria.

Insomma, la grappa è bella perché è varia, ma anche perché si evolve, pur nel rispetto di quell’individualismo atavico presente nei grappaioli e di quella tradizione che l’ha resa veramente espressione del migliore Made in Italy. Gli assaggiatori come me hanno forse fatto il loro tempo: per le nuove grappe occorrono altri che sappiano accettare le nuove sfide.

Luigi Odello
Presidente – Centro Studi Assaggiatori
Professore di Analisi sensoriale alle Università di Verona, Udine e Cattolica di Piacenza
presidenza@assaggiatori.com

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